Da maggio 2019 vivo a Vancouver, in Canada. Ho lasciato l’Italia perché… beh, penso si possa intuire facilmente il perché. Ho visto l’esplosione della pandemia da emigrato in terra straniera. Non potevo credere a quanto stesse accadendo. Per quanto la pandemia fosse iniziata a Wuhan, in Cina, ho iniziato a prendere sul serio la materia solo quando il Covid-19 ha colpito l’Italia. Come me, un po` tutto il mondo occidentale ha preso sul serio la pandemia solo dopo il coinvolgimento del Belpaese.
Mentre i canadesi si percepivano al sicuro da un virus che stava ancora dall’altra parte del mondo, io sono entrato in modalità “panico” in poco tempo, mettendomi da solo in lockdown tre giorni prima che il governo canadese lo dichiarasse qui (in pratica ho detto a lavoro che non mi sentivo al sicuro e mi sono chiuso in casa).
In quel periodo condividevo l’appartamento con un francese e un britannico. C’era anche un russo, ma per tutelarsi decise di andare a vivere a casa della fidanzata. In pratica, nel piccolo di un appartamento della downtown di Vancouver si era creata la medesima situazione vissuta in Europa: italiani spaventati e in lockdown, francesi menefreghisti e inglesi convinti di essere intoccabili. Non è stato facile trovarmi in quella situazione. Ero il solo a credere alla pericolosità del Covid e convivevo con due persone che erano certe in Canada non sarebbe mai successo nulla.
Per fortuna, non appena il Covid ha iniziato a preoccupare i rispettivi Paesi, il francese e il britannico hanno iniziato a prendermi un po` più sul serio. “Cazzo, l’italiano aveva ragione”. Per un inglese e un francese, un’affermazione pesante.
Io nel frattempo ho vissuto nella paura. Come proteggermi da un virus mentre condivido l`appartamento con due che del virus se ne fottono? Ok, il francese lavorava da casa (lo “smart” working), ma l`inglese lavorava in un ristorante e a tempo perso arrotondava facendo le consegne con Uber Eats.
Pensavo alle maniglie delle porte. Alle pentole e ai piatti condivisi. Agli amici che potevano portare a casa, alle tipe con cui potevano limonare (il francese aveva la ragazza, l’inglese si frequentava con una). Io intanto stavo chiuso nella mia stanza, divorando grafici e notizie dall’Italia e dal Canada, concedendomi una passeggiata al giorno di un paio d’ore per non soffocare dentro quattro mura, badando bene di incrociare persone per strada.
Il virus è nell`aria. Stai lontano dalla gente, Dario.
Nel frattempo, mascherine e distanza di sicurezza dagli altri esseri umani (“social distance”, per i più intransigenti “physical distance”) iniziavano a diventare normalità.
Dopo due mesi e mezzo così, ho iniziato a provare un senso di disagio e a dirmi che stavo sbagliando. Avevo paura, e non era in quel modo che avrei voluto vivere. Con la paura messa da parte sono tornato alla normalità (ho detto a lavoro che sarei stato nuovamente disponibile) e soprattutto ho iniziato a “leggere” le notizie in modo diverso; meglio, a leggere notizie diverse. Se leggi sempre lo stesso giornale, se guardi sempre lo stesso canale, come puoi ottenere informazioni diverse?
E mi viene in mente la frase di Edward Norton in Fight Club: “Se ti svegliassi in un posto diverso a un’ora diversa, ti sveglieresti come una persona diversa”?
